30 Aprile 2023 – La voce del Pastore

Ravenna, Mausoleo di Galla Placidia, Buon pastore (mosaico prima metà del V secolo)

 

Il rapporto che Gesù Risorto desidera instaurare con ognuno di noi non è una realtà generica, che raggiunge tutti in modo indistinto. Gesù cerca una relazione personale, ecco perché il Vangelo di oggi sottolinea il ruolo della sua “voce”. Non si tratta solo di un messaggio, di un discorso, di parole: è la sua voce che ognuno è invitato a riconoscere e seguire, una voce che ha un timbro inconfondibile e che si rivolge a ognuno di noi, chiamandoci per nome.

Per intendere questa voce bisogna che ci sia un minimo di silenzio. Non può essere distinta, infatti, in mezzo al baccano e al chiasso. Ci vuole silenzio perché essa si faccia sentire nitidamente. Occorre essere in atteggiamento di ascolto per non perdere nulla di quanto viene proferito, per accogliere subito ciò che il pastore dice al discepolo.

E’ però decisivo, allora, seguirlo, mettere i nostri passi sui suoi, rischiare la nostra esistenza dietro a lui, facendo le sue tesse scelte accettando di affrontare anche noi gli ostacoli che si frappongono.

Non è casuale che proprio questa domenica la Chiesa celebri la Giornata di preghiera per le vocazioni. In effetti, al fondo di ogni chiamata ci sono proprio queste esperienze, che segnano tutta l’esistenza di un cristiano e lo inducono a cercare non il proprio tornaconto, non i propri interessi, ma un ruolo che implica il dono, il servizio, l’offerta di sé. Sono queste esperienze che sostengono il cammino di una vocazione, perché cercare il progetto di Dio non è una operazione che avviene solo in un momento magico, ma esige la costanza e la perseveranza. Lo slancio delle origini non può venir meno per esaurimento. L’impegno domanda di essere sostenuto da una relazione che innerva le decisioni e le scelte di ogni giorno. Altrimenti la routine fa scivolare facilmente nella ripetizione stanca di gesti e di parole che perdono il loro senso. Tutto si regge sulla percezione di un amore che ci raggiunge lì dove siamo, nella nostra concreta situazione, con le nostre fragilità e debolezze, con le nostre infedeltà e il nostro peccato.

Quest’amore è, di volta in volta, un amore tenero ed esigente, compassionevole e determinato, perché sa coniugare la verità con la giustizia e la misericordia. Accogliere quest’amore vuol dire far cadere le nostre difese ed abbandonarci interamente a colui che solo riesce a colmare di senso la nostra esistenza. Accogliere quest’amore conduce a rispondere “all’amore con l’amore” e quindi ad accettare anche la strada disagevole che comporta il sacrificio di se stessi, la sofferenza, la croce.

La risposta che il discepolo dà con tutta la sua esistenza rimane inspiegabile se non all’interno di questa logica. Non si può rendere ragione dell’amore se non se ne colgono gli aspetti fondamentali, l’origine e le conseguenze che esso provoca. Ciò che risulta eccessivo è comprensibile quando ci si è imbattuti in un dono smisurato, che sfugge a ogni limite. Ciò che sembra, a prima vista, contrario alla razionalità, appare come l’unico atteggiamento adatto per ricambiare – almeno in qualche modo – quanto si è ricevuto in sovrabbondanza.

Senza l’incontro con il Pastore che dà la vita, senza l’ascolto della sua voce, non si capisce chi lo segue per la via esigente e gioiosa da lui tracciata.

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