Tra di voi non è così

 

Uno alla tua destra e uno alla tua sinistra (Marco 10,37)

I discepoli sono vissuti con Gesù, gomito a gomito, per tanto tempo. Hanno ascoltato le sue parole, hanno visto i suoi gesti di liberazione e di misericordia. In fondo proprio loro, che stanno a diretto contatto con lui, faticano a cogliere la “novità”. Sperano nel Regno di Dio ma lo immaginano con il funzionamento di questo mondo e quindi aspirano, giustamente, a un posto significativo, di potere.

Gli annunci della Passione e della morte non riescono a scalfirli più di tanto. Probabilmente – pensano – Gesù vuole prepararli alla lotta decisiva che prelude al successo. Una volta sbaragliati i nemici, si aprirà per loro il momento della gloria, in cui vedranno premiata la loro fedeltà, la loro adesione al Maestro. A noi viene da sorridere, quando ascoltiamo la richiesta di Giacomo e Giovanni, ma poi ci accorgiamo che con la tentazione dei due apostoli dobbiamo fare i conti ogni giorno. Perché la loro logica rischia di essere la nostra, ed è logica di potere, di prestigio, di successo. Perché in ognuno di noi cova il desiderio, più o meno inconfessato, di raggiungere un posto significativo. Al contrario, la logica di Gesù ci risulta poco accattivante. Nel nostro mondo non sono i servi che salgono sul palco, ma i potenti; non sono i servi che comandano, ma quelli che hanno autorità e forza…

No, la nostra logica va in tutt’altro senso. Prevede la visibilità e quindi l’esibizione della forza. Si propone come obiettivo la vittoria, che coincide – guarda caso – con la capacità di sbaragliare gli avversari, di ridurli al nulla. La logica mondana funziona con il dispiegamento massiccio di forze: persone, mezzi, risorse. Adopera una strategia che non è affatto ingenua, ma si inserisce con maestria nella complessità delle vicende umane.

Può contare su un buon sostegno pubblicitario e su un’adesione da parte del pubblico. Ma è la logica di Gesù? La logica del Regno? E’ tutto qui il terribile dilemma. Come cristiani possiamo annunciare il Regno di Dio che non è di questo mondo, con metodi, strutture e progetti che ne assumono fino in fondo la logica? Ma alla fine chi è che “regna” davvero oltre la precarietà umana e la morte stessa?


Orario SS. Messe:

Giorni feriali ore 18.30
Sabato e vigilia delle feste ore 19
Festivo ore 8.30, 10.30, 12 – Ore 18 in Auditorium

Il sabato, dalle ore 10 alle ore 12, Adorazione Eucaristica

In questo orario i preti sono a disposizione per celebrare il
Sacramento della Riconciliazione.
Per celebrare il sacramento della Confessione è possibile anche contattare i preti:
Don Paolo 347 3002895 – Don Francesco  347 8804368

 

È più facile che un cammello…

 

Quanto è difficile, per chi possiede ricchezze, entrare nel regno di Dio (Marco 10,23)

 

Ammettiamolo: un Vangelo come quello di questa domenica in fondo ci disturba. Ci pare un po’ eccessivo il tono con cui Gesù ci mette in guardia dalle ricchezze. Abbiamo bisogno di soldi e di beni materiali per vivere. Se poi abbiamo la responsabilità di una famiglia, se siamo dei genitori, non possiamo rinunciare ad avere da parte qualcosa a cui attingere in caso di bisogno.

Dov’è, dunque, il pericolo costituito dalla ricchezza? Ci fornisce degli agi, ci risolve alcuni problemi molto concreti, ci consente di vivere senza eccessive restrizioni e privazioni. E poi, è il frutto del nostro lavoro, della nostra intraprendenza, della fantasia e dell’impegno che abbiamo dimostrato. Gesù vuole forse fare di noi delle persone che vivono alla giornata, senza alcuna risorsa per il domani, incapaci di far fronte ai molteplici impegni che si presentano? In effetti il racconto di questa domenica ci aiuta ad andare al cuore del problema.

C’è un incontro che può diventare decisivo: quell’uomo , fin dalla sua giovinezza, rispetta i comandamenti e c’è in lui dello slancio, dell’entusiasmo, il desiderio sincero di raggiungere la vita eterna.
Gesù intravede le possibilità che porta con sé: il regno Dio, il disegno del Padre, ha bisogno di gente come lui. Per fare questo, però, ci vuole una fiducia a tutta prova: c’è un passato da lasciarsi alle spalle, con tutte le sue sicurezze, per affrontare un futuro che è totalmente nuovo, nelle mani di Dio.
Ed è proprio qui che tutto si inceppa: lo sguardo d’amore di Gesù trova un ostacolo nell’attaccamento di quell’uomo ai suoi beni. Ma quel carico non può portarlo con sé, se effettivamente crede in Gesù e punta tutta la sua vita sul suo annuncio.
Quelle ricchezze diventano un peso che impedisce la libertà del discepolo. Le ricchezze costituiscono un pericolo perché finiscono con l’attaccarsi al cuore.
E Gesù non chiede solo un ritaglio, gli avanzi del nostro tempo e del nostro amore: esige tutto.

La fede in ultima analisi comporta una scommessa e la puntata non ha la consistenza di qualche spicciolo. Gesù ci chiede di investire tutto su di Lui: solo così mettiamo la nostra vita interamente nelle su mani e possiamo ritrovarla trasfigurata dal suo amore!


Ottobre Missionario

La Chiesa invita a riflettere e pregare, nel mese di ottobre, sull’aspetto missionario della nostra fede. Tutti noi siamo discepoli-missionari di Cristo, chiamati ad annunciare il Vangelo nel mondo contemporaneo, come ci ricorda il messaggio di Papa Francesco per questa giornata: Andate e invitate al banchetto tutti (cfr Mt 22,9)

Questa domenica ci aiuta nella riflessione Selene Pera, missionaria laica lucchese, che parla della sua esperienza proponendoci anche la lettura di un libro da lei scritto, il cui ricavato è interamente devoluto alla missione delle Sorelle di Santa Gemma in Congo.

Eppure si vive anche cosi è la frase che Selene ripete dentro di sé ogni volta che si scontra con la miseria che imprigiona la gran parte dei congolesi.
Rimane incredula, disarmata e impotente di fronte a condizioni che compromettono fortemente la dignità umana.

Laica missionaria, decide di partire per la Repubblica Democratica del Congo nell’ottobre 2023 dove vi rimane per tre mesi nelle comunità della Congregazione Missionaria delle Sorelle di Santa Gemma.

Le religiose, che Selene conosce sin da quando era piccola, fanno da cornice alle esperienze raccontate in questo libro.

Un viaggio autentico in una terra fortemente segnata dall’ingiustizia dalla povertà, effetti diretti di una guerra che va avanti da decenni.

Nelle settimane passate in Africa ha la possibilità anche di trascorrere dieci giorni tra il Burundi e il Rwanda e di vivere sia la realtà di città importanti come Bujumbura, sia quella di villaggi poverissimi come Rwamagana.

Il contatto con i carcerati, i malati, gli anziani nelle baraccopoli e i bambini della strada generano in Selene il bisogno di condividere le proprie riflessioni e di far conoscere a quante più persone possibili la resilienza di questo popolo alle dure condizioni di vita che segnano il Paese.

 

Ciò che Dio ha congiunto

 

 

A volte succede che, durante al celebrazione di un matrimonio, si crea un clima eccessivamente allegro e scanzonato, al punto da far smarrire la serietà e la grandezza di ciò che sta accadendo.

In questi casi dobbiamo rammentare che, certo, “ministri” del Sacramento sono gli sposi e non è per caso che si trovano situati al centro dello spazio liturgico.
Ma è altrettanto vero che il protagonista principale è Dio: è Lui che ci dona la sua presenza di grazia, è Lui che dobbiamo accogliere con gioia e riconoscenza.

Spesso, infatti, sembra che proprio Dio sia, alla fin fine, relegato nell’ombra. Quasi che il matrimonio nascesse solamente dall’impegno di uno uomo e di una donna, manifestato nel testo – sobrio ed essenziale –della promessa che essi pronunciano. Quasi che non fosse invece proprio Dio, agendo in prima persona, a garantire con la sua luce e la sua forza, la solidità di un legame di amore assunto pubblicamente con i suoi diritti e doveri.

Ecco perché gli sposi dovrebbero vivere con gioia, ma anche con un certo “timore e tremore” il rito che, nella sua brevità, è inversamente proporzionale agli effetti che produce.
Si, gesti semplici e parole misurate, ma che cambiano l’esistenza di due esseri umani e fanno di loro, nella diversità che costituisce una ricchezza, “una carne sola”.
Così sembra appropriata la scelta del rituale, che mette a sigillo della formula matrimoniale una frase di Gesù tolta direttamente dal testo evangelico: “L’uomo non divida quello che Dio ha congiunto”. Si tratta di un avvertimento esplicito volto a tutelare quel legame d’amore che non si riduce a una relazione privata tra gli sposi, ma gode della presenza stessa di Dio del suo sostegno.

Rompere un matrimonio non è solo violare, dunque, qualcosa di prezioso e di grande come l’amore che unisce due sposi, ma è addirittura un atto contro Dio, contro una realtà santa sulla quale egli profonde il suo amore. Non è il caso, allora, di prendere alla leggera tutto ciò che contribuisce a sminuire il valore della fedeltà coniugale: un bene determinante per la stabilità della famiglia, per la comunione esistente fra gli sposi, per la serenità dei loro figli. Guardandoci attorno, tanti di noi non possono che esprimere gratitudine ai loro genitori per questo dono che ci hanno fatto: probabilmente la nostra esistenza non è stata colmata di regali di ogni genere, ma questo regalo vale di più di qualsiasi altro.

 


La Chiesa Parrocchiale è riaperta

La chiesa, completati i lavori di ristrutturazione e l’ installazione del nuovo sistema di riscaldamento, è riaperta da sabato 21 settembre.

Tutte le celebrazioni, eccetto quella festiva delle ore 18, si svolgono nella Chiesa Parrocchiale

Orario SS. Messe:

Giorni feriali ore 18.30
Sabato e vigilia delle feste ore 19
Festivo ore 8.30, 10.30, 12 – Ore 18 in Auditorium

 

La tentazione della chiusura

 

 

Il Vangelo della Liturgia odierna ci racconta un breve dialogo tra Gesù e l’Apostolo Giovanni, che parla a nome di tutto il gruppo dei discepoli. Essi hanno visto un uomo che scacciava i demoni nel nome del Signore, ma glielo hanno impedito perché non faceva parte del loro gruppo. Gesù, a questo punto, li invita a non ostacolare chi si adopera nel bene, perché concorre a realizzare il progetto di Dio (cfr Mc 9,38-41). Poi ammonisce: invece di dividere le persone in buone e cattive, tutti siamo chiamati a vigilare sul nostro cuore, perché non ci succeda di soccombere al male e di dare scandalo agli altri (cfr vv. 42-45.47-48).

Le parole di Gesù svelano insomma una tentazione e offrono un’esortazione. La tentazione è quella della chiusura. I discepoli vorrebbero impedire un’opera di bene solo perché chi l’ha compiuta non apparteneva al loro gruppo. Pensano di avere “l’esclusiva su Gesù” e di essere gli unici autorizzati a lavorare per il Regno di Dio. Ma così finiscono per sentirsi prediletti e considerano gli altri come estranei, fino a diventare ostili nei loro confronti. Fratelli e sorelle, ogni chiusura, infatti, fa tenere a distanza chi non la pensa come noi e questo – lo sappiamo – è la radice di tanti mali della storia: dell’assolutismo che spesso ha generato dittature e di tante violenze nei confronti di chi è diverso.

Ma occorre anche vigilare sulla chiusura nella Chiesa. Perché il diavolo, che è il divisore – questo significa la parola “diavolo”, che fa la divisione – insinua sempre sospetti per dividere ed escludere la gente. Tenta con furbizia, e può succedere come a quei discepoli, che arrivano a escludere persino chi aveva cacciato il diavolo stesso! A volte anche noi, invece di essere comunità umili e aperte, possiamo dare l’impressione di fare “i primi della classe” e tenere gli altri a distanza; invece che cercare di camminare con tutti, possiamo esibire la nostra “patente di credenti”: “io sono credente”, “io sono cattolico”, “io sono cattolica”, “io appartengo a questa associazione, all’altra…”; e gli altri poveretti no. Questo è un peccato. Esibire la “patente di credenti” per giudicare ed escludere. Chiediamo la grazia di superare la tentazione di giudicare e di catalogare, e che Dio ci preservi dalla mentalità del “nido”, quella di custodirci gelosamente nel piccolo gruppo di chi si ritiene buono: il prete con i suoi fedelissimi, gli operatori pastorali chiusi tra di loro perché nessuno si infiltri, i movimenti e le associazioni nel proprio carisma particolare, e così via. Chiusi. Tutto ciò rischia di fare delle comunità cristiane dei luoghi di separazione e non di comunione. Lo Spirito Santo non vuole chiusure; vuole apertura, comunità accoglienti dove ci sia posto per tutti.

E poi nel Vangelo c’è l’esortazione di Gesù: invece di giudicare tutto e tutti, stiamo attenti a noi stessi! Infatti, il rischio è quello di essere inflessibili verso gli altri e indulgenti verso di noi. E Gesù ci esorta a non scendere a patti col male, con immagini che colpiscono: “Se qualcosa in te è motivo di scandalo, taglialo!” (cfr vv. 43-48). Se qualcosa ti fa male, taglialo! Non dice: “Se qualcosa è motivo di scandalo, fermati, pensaci su, migliora un po’…”. No: “Taglialo! Subito!”. Gesù è radicale in questo, esigente, ma per il nostro bene, come un bravo medico. Ogni taglio, ogni potatura, è per crescere meglio e portare frutto nell’amore. Chiediamoci allora: cosa c’è in me che contrasta col Vangelo? Che cosa, concretamente, Gesù vuole che io tagli nella mia vita?

Preghiamo la Vergine Immacolata, perché ci aiuti a essere accoglienti verso gli altri e vigilanti su noi stessi.

Papa Francesco, Angelus del 26 settembre 2021

 


La Chiesa Parrocchiale è riaperta

La chiesa, completati i lavori di ristrutturazione e l’ installazione del nuovo sistema di riscaldamento, è riaperta da sabato 21 settembre.

Tutte le celebrazioni, eccetto quella festiva delle ore 18, si svolgono nella Chiesa Parrocchiale

Orario SS. Messe:

Giorni feriali ore 18.30
Sabato e vigilia delle feste ore 19
Festivo ore 8.30, 10.30, 12 – Ore 18 in Auditorium

 

Se uno vuole essere il primo, sia il servitore di tutti

 

 

Il Vangelo della Liturgia odierna (Mc 9,30-37) narra che, lungo il cammino verso Gerusalemme, i discepoli di Gesù discutevano su chi «tra loro fosse più grande» (v. 34). Allora Gesù rivolse loro una frase forte, che vale anche per noi oggi: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti» (v. 35). Se tu vuoi essere il primo, devi andare in coda, essere l’ultimo, e servire tutti. Mediante questa frase lapidaria, il Signore inaugura un capovolgimento: rovescia i criteri che segnano che cosa conta davvero. Il valore di una persona non dipende più dal ruolo che ricopre, dal successo che ha, dal lavoro che svolge, dai soldi in banca; no, no, non dipende da quello; la grandezza e la riuscita, agli occhi di Dio, hanno un metro diverso: si misurano sul servizio. Non su quello che si ha, ma su quello che si dà. Vuoi primeggiare? Servi. Questa è la strada.

Oggi la parola “servizio” appare un po’ sbiadita, logorata dall’uso. Ma nel Vangelo ha un significato preciso e concreto. Servire non è un’espressione di cortesia: è fare come Gesù, il quale, riassumendo in poche parole la sua vita, ha detto di essere venuto «non per farsi servire, ma per servire» (Mc 10,45). Così ha detto il Signore. Dunque, se vogliamo seguire Gesù, dobbiamo percorrere la via che Lui stesso ha tracciato, la via del servizio. La nostra fedeltà al Signore dipende dalla nostra disponibilità a servire. E questo, lo sappiamo, costa, perché “sa di croce”. Ma, mentre crescono la cura e la disponibilità verso gli altri, diventiamo più liberi dentro, più simili a Gesù. Più serviamo, più avvertiamo la presenza di Dio. Soprattutto quando serviamo chi non ha da restituirci, i poveri, abbracciandone le difficoltà e i bisogni con la tenera compassione: e lì scopriamo di essere a nostra volta amati e abbracciati da Dio.

Gesù, proprio per illustrare questo, dopo aver parlato del primato del servizio, compie un gesto. Abbiamo visto che i gesti di Gesù sono più forti delle parole che usa. E qual è il gesto? Prende un bambino e lo pone in mezzo ai discepoli, al centro, nel luogo più importante (cfr v. 36). Il bambino, nel Vangelo, non simboleggia tanto l’innocenza, quanto la piccolezza. Perché i piccoli, come i bambini, dipendono dagli altri, dai grandi, hanno bisogno di ricevere. Gesù abbraccia quel bambino e dice che chi accoglie un piccolo, un bambino, accoglie Lui (cfr v. 37). Ecco anzitutto chi servire: quanti hanno bisogno di ricevere e non hanno da restituire. Servire coloro che hanno bisogno di ricevere e non hanno da restituire. Accogliendo chi è ai margini, trascurato, accogliamo Gesù, perché Egli sta lì. E in un piccolo, in un povero che serviamo riceviamo anche noi l’abbraccio tenero di Dio.

Cari fratelli e sorelle, interpellati dal Vangelo, facciamoci delle domande: io, che seguo Gesù, mi interesso a chi è più trascurato? Oppure, come i discepoli quel giorno, vado in cerca di gratificazioni personali? Intendo la vita come una competizione per farmi spazio a discapito degli altri oppure credo che primeggiare significa servire? E, concretamente: dedico tempo a qualche “piccolo”, a una persona che non ha i mezzi per contraccambiare? Mi occupo di qualcuno che non può restituirmi o solo dei miei parenti e amici? Sono domande che noi possiamo farci.

La Vergine Maria, umile serva del Signore, ci aiuti a comprendere che servire non ci fa diminuire, ma ci fa crescere. E che c’è più gioia nel dare che nel ricevere (cfr At 20,35).

Papa Francesco, Angelus del 19 settembre 2021

 


La Chiesa Parrocchiale è riaperta

La chiesa, completati i lavori di ristrutturazione e l’ installazione del nuovo sistema di riscaldamento, è riaperta da sabato 21 settembre.

Tutte le celebrazioni, eccetto quella festiva delle ore 18, si svolgeranno nella Chiesa Parrocchiale

Orario SS. Messe:

Giorni feriali ore 18.30
Sabato e vigilia delle feste ore 19
Festivo ore 8.30, 10.30, 12 – Ore 18 in Auditorium

 

Chi è Gesù?

 

 

Nel brano evangelico di oggi (cfr Mc 8,27-35), ritorna la domanda che attraversa tutto il Vangelo di Marco: chi è Gesù? Ma questa volta è Gesù stesso che la pone ai discepoli, aiutandoli gradualmente ad affrontare l’interrogativo sulla sua identità. Prima di interpellare direttamente loro, i Dodici, Gesù vuole sentire da loro che cosa pensa di Lui la gente – e sa bene che i discepoli sono molto sensibili alla popolarità del Maestro! Perciò domanda: «La gente, chi dice che io sia?» (v. 27). Ne emerge che Gesù è considerato dal popolo un grande profeta. Ma, in realtà, a Lui non interessano i sondaggi e le chiacchiere della gente. Egli non accetta nemmeno che i suoi discepoli rispondano alle sue domande con formule preconfezionate, citando personaggi famosi della Sacra Scrittura, perché una fede che si riduce alle formule è una fede miope.

Il Signore vuole che i suoi discepoli di ieri e di oggi instaurino con Lui una relazione personale, e così lo accolgano al centro della loro vita. Per questo li sprona a porsi in tutta verità di fronte a sé stessi, e chiede: «Ma voi, chi dite che io sia?» (v. 29). Gesù, oggi, rivolge questa richiesta così diretta e confidenziale a ciascuno di noi: “Tu, chi dici che io sia? Voi, chi dite che io sia? Chi sono io per te?”. Ognuno è chiamato a rispondere, nel proprio cuore, lasciandosi illuminare dalla luce che il Padre ci dà per conoscere il suo Figlio Gesù. E può accadere anche a noi, come a Pietro, di affermare con entusiasmo: «Tu sei il Cristo». Quando però Gesù ci dice chiaramente quello che disse ai discepoli, cioè che la sua missione si compie non nella strada larga del successo, ma nel sentiero arduo del Servo sofferente, umiliato, rifiutato e crocifisso, allora può capitare anche a noi, come a Pietro, di protestare e ribellarci perché questo contrasta con le nostre attese, con le attese mondane. In quei momenti, anche noi meritiamo il salutare rimprovero di Gesù: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini» (v. 33).

Fratelli e sorelle, la professione di fede in Gesù Cristo non può fermarsi alle parole, ma chiede di essere autenticata da scelte e gesti concreti, da una vita improntata all’amore di Dio, di una vita grande, di una vita con tanto amore per il prossimo. Gesù ci dice che per seguire Lui, per essere suoi discepoli, bisogna rinnegare sé stessi (cfr v. 34), cioè le pretese del proprio orgoglio egoistico, e prendere la propria croce. Poi dà a tutti una regola fondamentale. E qual è questa regola? «Chi vorrà salvare la propria vita la perderà. Spesso nella vita, per tanti motivi, sbagliamo strada, cercando la felicità solo nelle cose, o nelle persone che trattiamo come cose. Ma la felicità la troviamo soltanto quando l’amore, quello vero, ci incontra, ci sorprende, ci cambia. L’amore cambia tutto! E l’amore può cambiare anche noi, ognuno di noi. Lo dimostrano le testimonianze dei santi.

La Vergine Maria, che ha vissuto la sua fede seguendo fedelmente il suo Figlio Gesù, aiuti anche noi a camminare nella sua strada, spendendo generosamente la nostra vita per Lui e per i fratelli.

Papa Francesco, Angelus del 16 settembre 2018

 


Riapre la Chiesa Parrocchiale

La chiesa, che è chiusa da lunedì 29 luglio per completare i lavori di ristrutturazione, in particolare per l’ installazione del nuovo sistema di riscaldamento, riaprirà sabato prossimo con la messa festiva delle ore 19

Da sabato prossimo tutte le celebrazioni, eccetto quella festiva delle ore 18, si svolgeranno nella Chiesa Parrocchiale

Orario SS. Messe:

Giorni feriali ore 18.30
Sabato e vigilia delle feste ore 19
Festivo ore 8.30, 10.30, 12 – Ore 18 in Auditorium

 

Fa udire i sordi e fa parlare i muti

 

 

Il Vangelo di questa domenica (cfr Mc 7,31-37) riferisce l’episodio della guarigione miracolosa di un sordomuto, operata da Gesù. Gli portarono un sordomuto, pregandolo di imporgli la mano. Egli, invece, compie su di lui diversi gesti: prima di tutto lo condusse in disparte lontano dalla folla. In questa occasione, come in altre, Gesù agisce sempre con discrezione. Non vuole fare colpo sulla gente, Lui non è alla ricerca della popolarità o del successo, ma desidera soltanto fare del bene alle persone. Con questo atteggiamento, Egli ci insegna che il bene va compiuto senza clamori, senza ostentazione, senza “far suonare la tromba”. Va compiuto in silenzio.

Quando si trovò in disparte, Gesù mise le dita nelle orecchie del sordomuto e con la saliva gli toccò la lingua. Questo gesto rimanda all’Incarnazione. Il Figlio di Dio è un uomo inserito nella realtà umana: si è fatto uomo, pertanto può comprendere la condizione penosa di un altro uomo e interviene con un gesto nel quale è coinvolta la propria umanità. Al tempo stesso, Gesù vuol far capire che il miracolo avviene a motivo della sua unione con il Padre: per questo, alzò lo sguardo al cielo. Poi emise un sospiro e pronunciò la parola risolutiva: «Effatà», che significa “Apriti”. E subito l’uomo venne sanato: gli si aprirono gli orecchi, gli si sciolse la lingua. La guarigione fu per lui un’«apertura» agli altri e al mondo.

Questo racconto del Vangelo sottolinea l’esigenza di una duplice guarigione. Innanzitutto la guarigione dalla malattia e dalla sofferenza fisica, per restituire la salute del corpo; anche se questa finalità non è completamente raggiungibile nell’orizzonte terreno, nonostante tanti sforzi della scienza e della medicina. Ma c’è una seconda guarigione, forse più difficile, ed è la guarigione dalla paura. La guarigione dalla paura che ci spinge ad emarginare l’ammalato, ad emarginare il sofferente, il disabile. E ci sono molti modi di emarginare, anche con una pseudo pietà o con la rimozione del problema; si resta sordi e muti di fronte ai dolori delle persone segnate da malattie, angosce e difficoltà. Troppe volte l’ammalato e il sofferente diventano un problema, mentre dovrebbero essere occasione per manifestare la sollecitudine e la solidarietà di una società nei confronti dei più deboli.

Gesù ci ha svelato il segreto di un miracolo che possiamo ripetere anche noi, diventando protagonisti dell’«Effatà», di quella parola “Apriti” con la quale Egli ha ridato la parola e l’udito al sordomuto. Si tratta di aprirci alle necessità dei nostri fratelli sofferenti e bisognosi di aiuto, rifuggendo l’egoismo e la chiusura del cuore. È proprio il cuore, cioè il nucleo profondo della persona, che Gesù è venuto ad «aprire», a liberare, per renderci capaci di vivere pienamente la relazione con Dio e con gli altri. Egli si è fatto uomo perché l’uomo, reso interiormente sordo e muto dal peccato, possa ascoltare la voce di Dio, la voce dell’Amore che parla al suo cuore, e così impari a parlare a sua volta il linguaggio dell’amore, traducendolo in gesti di generosità e di donazione di sé.

Maria, Colei che si è totalmente «aperta» all’amore del Signore, ci ottenga di sperimentare ogni giorno, nella fede, il miracolo dell’«Effatà», per vivere in comunione con Dio e con i fratelli.

Papa Francesco, Angelus del 9 settembre 2018

 


La chiesa è chiusa da lunedì 29 luglio fino a metà settembre per completare i lavori di ristrutturazione, in particolare per l’ installazione del nuovo sistema di riscaldamento.

Le SS. Messe e tutte le celebrazioni si svolgono presso l’Auditorium (Oratorio Parrocchiale – via Fratelli Cervi)

Orario SS. Messe (in Auditorium):

Giorni feriali ore 18.30
Sabato e vigilia delle feste ore 19
Festivo ore 8.30, 10.30, 12, 18

 

Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini

 

 

Nel Vangelo della Liturgia di questa domenica (cfr Mc 7,1-8.14-15.21-23), Gesù affronta un tema importante per tutti noi credenti: l’autenticità della nostra obbedienza alla Parola di Dio, contro ogni contaminazione mondana o formalismo legalistico. Il racconto si apre con l’obiezione che gli scribi e i farisei rivolgono a Gesù, accusando i suoi discepoli di non seguire i precetti rituali secondo le tradizioni. In questo modo, gli interlocutori intendevano colpire l’attendibilità e l’autorevolezza di Gesù come Maestro perché dicevano: “Ma questo maestro lascia che i discepoli non compiano le prescrizioni della tradizione”. Ma Gesù replica forte e replica dicendo: «Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini”» (vv. 6-7). Così dice Gesù. Parole chiare e forti! Ipocrita è, per così dire, uno degli aggettivi più forti che Gesù usa nel Vangelo e lo pronuncia rivolgendosi ai maestri della religione: dottori della legge, scribi… “Ipocrita”, dice Gesù.

Gesù infatti vuole scuotere gli scribi e i farisei dall’errore in cui sono caduti, e qual è questo errore? Quello di stravolgere la volontà di Dio, trascurando i suoi comandamenti per osservare le tradizioni umane. La reazione di Gesù è severa perché grande è la posta in gioco: si tratta della verità del rapporto tra l’uomo e Dio, dell’autenticità della vita religiosa. L’ipocrita è un bugiardo, non è autentico.

Anche oggi il Signore ci invita a fuggire il pericolo di dare più importanza alla forma che alla sostanza. Ci chiama a riconoscere, sempre di nuovo, quello che è il vero centro dell’esperienza di fede, cioè l’amore di Dio e l’amore del prossimo, purificandola dall’ipocrisia del legalismo e del ritualismo.

Il messaggio del Vangelo oggi è rinforzato anche dalla voce dell’Apostolo Giacomo, che ci dice in sintesi come dev’essere la vera religione, e dice così: la vera religione è «visitare gli orfani e le vedove nelle sofferenze e non lasciarsi contaminare da questo mondo» (v. 27).

“Visitare gli orfani e le vedove” significa praticare la carità verso il prossimo a partire dalle persone più bisognose, più fragili, più ai margini. Sono le persone delle quali Dio si prende cura in modo speciale, e chiede a noi di fare altrettanto.

“Non lasciarsi contaminare da questo mondo” non vuol dire isolarsi e chiudersi alla realtà. No. Anche qui non dev’essere un atteggiamento esteriore ma interiore, di sostanza: significa vigilare perché il nostro modo di pensare e di agire non sia inquinato dalla mentalità mondana, ossia dalla vanità, dall’avarizia, dalla superbia. In realtà, un uomo o una donna che vive nella vanità, nell’avarizia, nella superbia e nello stesso tempo crede e si fa vedere come religioso e addirittura arriva a condannare gli altri, è un ipocrita.

Facciamo un esame di coscienza per vedere come accogliamo la Parola di Dio. Alla domenica la ascoltiamo nella Messa. Se la ascoltiamo in modo distratto o superficiale, essa non ci servirà molto. Dobbiamo, invece, accogliere la Parola con mente e cuore aperti, come un terreno buono, in modo che sia assimilata e porti frutto nella vita concreta. Gesù dice che la Parola di Dio è come il grano, è un seme che deve crescere nelle opere concrete. Così la Parola stessa ci purifica il cuore e le azioni e il nostro rapporto con Dio e con gli altri viene liberato dall’ipocrisia.

L’esempio e l’intercessione della Vergine Maria ci aiutino a onorare sempre il Signore col cuore, testimoniando il nostro amore per Lui nelle scelte concrete per il bene dei fratelli.

Papa Francesco, Angelus del 2 settembre 2018

 


La chiesa è chiusa da lunedì 29 luglio fino a metà settembre per completare i lavori di ristrutturazione, in particolare per l’ installazione del nuovo sistema di riscaldamento.

Le SS. Messe e tutte le celebrazioni si svolgono presso l’Auditorium (Oratorio Parrocchiale – via Fratelli Cervi)

Orario SS. Messe (in Auditorium):

Giorni feriali ore 18.30
Sabato e vigilia delle feste ore 19
Festivo ore 8.30, 10.30, 12, 18

 

Da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna

 

 

Il Vangelo della Liturgia odierna (Gv 6,60-69) ci mostra la reazione della folla e dei discepoli al discorso di Gesù dopo il miracolo dei pani. Gesù ha invitato a interpretare quel segno e a credere in Lui, che è il vero pane disceso dal cielo, il pane della vita; e ha rivelato che il pane che Lui darà è la sua carne e il suo sangue. Queste parole suonano dure e incomprensibili alle orecchie della gente, tanto che, da quel momento – dice il Vangelo –, molti suoi discepoli tornano indietro, cioè smettono di seguire il Maestro (vv. 60.66). Allora Gesù interpella i Dodici: «Volete andarvene anche voi?» (v. 67), e Pietro, a nome di tutto il gruppo, conferma la decisione di stare con Lui: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo conosciuto e creduto che tu sei il Santo di Dio» (Gv 6,68-69). Ed è una bella confessione di fede. Soffermiamoci brevemente sull’atteggiamento di chi si ritira e decide di non seguire più Gesù. Da cosa nasce questa incredulità? Qual è il motivo di questo rifiuto? Le parole di Gesù suscitano un grande scandalo: Egli sta dicendo che Dio ha scelto di manifestare sé stesso e di attuare la salvezza nella debolezza della carne umana. È il mistero dell’incarnazione. E l’incarnazione di Dio è ciò che suscita scandalo e che rappresenta per quella gente – ma spesso anche per noi – un ostacolo. Infatti, Gesù afferma che il vero pane della salvezza, che trasmette la vita eterna, è la sua stessa carne; che per entrare in comunione con Dio, prima di osservare delle leggi o soddisfare dei precetti religiosi, occorre vivere una relazione2 reale e concreta con Lui. Perché la salvezza è venuta da Lui, nella sua incarnazione. Questo significa che non bisogna inseguire Dio in sogni e immagini di grandezza e di potenza, ma bisogna riconoscerlo nell’umanità di Gesù e, di conseguenza, in quella dei fratelli e delle sorelle che incontriamo sulla strada della vita. Dio si è fatto carne. E quando noi diciamo questo, nel Credo, il giorno del Natale, il giorno dell’annunciazione, ci inginocchiamo per adorare questo mistero dell’incarnazione. Dio si è fatto carne e sangue: si è abbassato fino a diventare uomo come noi, si è umiliato fino a caricarsi delle nostre sofferenze e del nostro peccato, e ci chiede di cercarlo, perciò, non fuori dalla vita e dalla storia, ma nella relazione con Cristo e con i fratelli. Cercarlo nella vita, nella storia, nella vita nostra quotidiana. E questa, fratelli e sorelle, è la strada per l’incontro con Dio: la relazione con Cristo e i fratelli. Anche oggi la rivelazione di Dio nell’umanità di Gesù può suscitare scandalo e non è facile da accettare. È quello che San Paolo chiama la “stoltezza” del Vangelo di fronte a chi cerca i miracoli o la sapienza mondana (cfr 1 Cor 1,18-25). E questa “scandalosità” è ben rappresentata dal sacramento dell’Eucaristia: che senso può avere, agli occhi del mondo, inginocchiarsi davanti a un pezzo di pane? Perché mai nutrirsi assiduamente di questo pane? Il mondo si scandalizza. Di fronte al gesto prodigioso di Gesù che con cinque pani e due pesci sfama migliaia di persone, tutti lo acclamano e vogliono portarlo in trionfo, farlo re. Ma quando Lui stesso spiega che quel gesto è segno del suo sacrificio, cioè del dono della sua vita, della sua carne e del suo sangue, e che chi vuole seguirlo deve assimilare Lui, la sua umanità donata per Dio e per gli altri, allora non piace, questo Gesù ci mette in crisi. Anzi, preoccupiamoci se non ci mette in crisi, perché forse abbiamo annacquato il suo messaggio! E chiediamo la grazia di lasciarci provocare e convertire dalle sue “parole di vita eterna”. E Maria Santissima, che ha portato nella carne il Figlio Gesù e si è unita al suo sacrificio, ci aiuti a testimoniare sempre la nostra fede con la vita concreta.

Angelus di Papa Francesco, 22 agosto 2021

 


La chiesa è chiusa da lunedì 29 luglio fino a metà settembre per completare i lavori di ristrutturazione, in particolare per l’ installazione del nuovo sistema di riscaldamento.

Le SS. Messe e tutte le celebrazioni si svolgono presso l’Auditorium (Oratorio Parrocchiale – via Fratelli Cervi)

Orario SS. Messe (in Auditorium):

Giorni feriali ore 18.30
Sabato e vigilia delle feste ore 19
Festivo ore 8.30, 10.30, 12, 18

 

La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda

 

 

In queste domeniche la Liturgia ci sta proponendo, dal Vangelo di Giovanni, il discorso di Gesù sul Pane della vita, che è Lui stesso e che è anche il sacramento dell’Eucaristia. Il brano di oggi (Gv 6,51-58) presenta l’ultima parte di tale discorso, e riferisce di alcuni tra la gente che si scandalizzano perché Gesù ha detto: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (Gv 6,54). Lo stupore degli ascoltatori è comprensibile; Gesù infatti usa lo stile tipico dei profeti per provocare nella gente – e anche in noi – delle domande e, alla fine, provocare una decisione. Anzitutto delle domande: che significa “mangiare la carne e bere il sangue” di Gesù?, è solo un’immagine, un modo di dire, un simbolo, o indica qualcosa di reale? Per rispondere, bisogna intuire che cosa accade nel cuore di Gesù mentre spezza i pani per la folla affamata. Sapendo che dovrà morire in croce per noi, Gesù si identifica con quel pane spezzato e condiviso, ed esso diventa per Lui il “segno” del Sacrificio che lo attende. Questo processo ha il suo culmine nell’Ultima Cena, dove il pane e il vino diventano realmente il suo Corpo e il suo Sangue. E’ l’Eucaristia, che Gesù ci lascia con uno scopo preciso: che noi possiamo diventare una cosa sola con Lui. Infatti dice: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui» (v. 56). Quel “rimanere”: Gesù in noi e noi in Gesù. La comunione è assimilazione: mangiando Lui, diventiamo come Lui. Ma questo richiede il nostro “sì”, la nostra adesione di fede.

A volte si sente, riguardo alla santa Messa, questa obiezione: “Ma a cosa serve la Messa? Io vado in chiesa quando me la sento, o prego meglio in solitudine”. Ma l’Eucaristia non è una preghiera privata o una bella esperienza spirituale, non è una semplice commemorazione di ciò che Gesù ha fatto nell’Ultima Cena. Noi diciamo, per capire bene, che l’Eucaristia è “memoriale”, ossia un gesto che attualizza e rende presente l’evento della morte e risurrezione di Gesù: il pane è realmente il suo Corpo donato per noi, il vino è realmente il suo Sangue versato per noi.

L’Eucaristia è Gesù stesso che si dona interamente a noi. Nutrirci di Lui e dimorare in Lui mediante la Comunione eucaristica, se lo facciamo con fede, trasforma la nostra vita, la trasforma in un dono a Dio e ai fratelli. Nutrirci di quel “Pane di vita” significa entrare in sintonia con il cuore di Cristo, assimilare le sue scelte, i suoi pensieri, i suoi comportamenti. Significa entrare in un dinamismo di amore e diventare persone di pace, persone di perdono, di riconciliazione, di condivisione solidale. Le stesse cose che Gesù ha fatto.

Gesù conclude il suo discorso con queste parole: «Chi mangia questo pane vivrà in eterno» (Gv 6,58). Sì, vivere in comunione reale con Gesù su questa terra ci fa già passare dalla morte alla vita. Il Cielo incomincia proprio in questa comunione con Gesù.

E in Cielo ci aspetta già Maria nostra Madre – abbiamo celebrato ieri questo mistero. Lei ci ottenga la grazia di nutrirci sempre con fede di Gesù, Pane della vita.

Angelus di Papa Francesco, 16 agosto 2015

 


La chiesa è chiusa da lunedì 29 luglio fino a metà settembre per completare i lavori di ristrutturazione, in particolare per l’ installazione del nuovo sistema di riscaldamento.

Le SS. Messe e tutte le celebrazioni si svolgono presso l’Auditorium (Oratorio Parrocchiale – via Fratelli Cervi)

Orario SS. Messe (in Auditorium):

Giorni feriali ore 18.30
Sabato e vigilia delle feste ore 19
Festivo ore 8.30, 10.30, 12, 18