Con la vostra perseveranza

 

Vi saranno fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo (Lc 21,5-19)

 

Qualcuno, forse, l’immagina come un percorso trionfale. Il Regno di Dio avanzerebbe come un rullo compressore, eliminando tutti gli ostacoli e attestandosi su tutta la faccia della terra. Di successo in successo, di vittoria in vittoria.
Ebbene, costui resterà deluso ascoltando il Vangelo di questa domenica: Gesù annuncia ai suoi discepoli persecuzioni, tradimenti che si verificheranno nelle loro stesse famiglie e una valanga di odio che si rovescerà su di loro.
Qualcuno vuole pensare a tutti i costi in modo ottimistico: progresso, benessere, pacificazione. Una progressiva eliminazione dei conflitti, una cancellazione degli attriti, una soluzione di tutti i contrasti ancora aperti. Ma Gesù sembra tratteggiare un quadro a tinte fosche: sollevazioni, guerre, terremoti, pestilenze, “fatti terrificanti e segni grandi nel cielo”.

Ma perché tutti questi discorsi, questi annunci così foschi? Per metterci paura? Per tenerci all’erta e fare in modo che viviamo in stato di allarme continuo, pronti alla difesa?
No, Gesù non vuole che i suoi discepoli coltivino ingenuamente sogni di successo e di gloria e che quindi si trovino smarriti di fronte alle persecuzioni e alle prove che arriveranno. Gesù ci vuole realisti, con gli occhi bene aperti sulla storia, pronti a decifrare quanto vi sta accadendo.

Il suo è un invito alla fiducia, alla serenità, al discernimento, alla perseveranza. Alla fiducia e alla serenità perché il Signore non abbandonerà mai i suoi discepoli, che troveranno in lui sempre un sostegno e una forza imprevisti.

Al discernimento, perché il discepolo non deve essere un ingenuo, pronto a credere a tutti quelli che dichiarano di parlare nel nome di Gesù.

Essere semplici, ma non facili prede di coloro che vogliono ingannarci. Perseveranti, cioè fedeli nel tempo e, quindi, con una fede solida, adulta e responsabile.

(Roberto Laurita)


Pillola di saggezza

La fede ci dà la forza di cambiare ciò che possiamo

e di accettare ciò che non possiamo

 

 


Orario SS. Messe:

  • Giorni feriali ore 18.30
  • Sabato e vigilia delle feste ore 19
  • Festivo ore 8.30, 10.30, 12 – Ore 17 in Auditorium

Il sabato, dalle ore 10 alle ore 12, Adorazione Eucaristica

In questo orario i preti sono a disposizione per celebrare il
Sacramento della Riconciliazione.
Per celebrare il sacramento della Confessione è possibile anche contattare i preti:
Don Paolo 347 3002895 – Don Francesco  347 8804368


 

Un nuovo tempio e un nuovo culto

 

Cecco del Caravaggio, Cacciata dei mercanti dal tempio

Fece un frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori dal tempio (Gv 2,13-22)

 

Quel giorno, Gesù, sulla spianata del Tempio, non ha esitato a mostrarsi violento: ti sei fatto una frusta di cordicelle e con quella hai cacciato i mercanti con i loro animali, hai gettato a terra i denari dei cambiavalute e hai rovesciato i loro banchi.
Saremmo tentati di credere che anche tu, una volta tanto, hai perso la pazienza, come accade così spesso anche a noi, e ti sei lasciato trascinare dall’ira.

Ma se leggiamo attentamente il racconto ci accorgiamo che a muoverti non è la rabbia, ma l’amore. Sì, il tuo gesto è dettato dall’amore, un amore smisurato per il Padre, per ciò che offre agli uomini, per il rapporto che vuole instaurare con loro.
Ecco perché non puoi tollerare che qualcuno, a fin di lucro, infanghi il suo volto, coltivi degli equivoci, permetta di credere che Dio è in vendita e lo si può comprare con un sacrificio o con un’offerta.

Quel giorno, allora, sulla spianata del Tempio, tu hai voluto difendere il buon nome di Dio, la gratuità del suo amore, la grandezza della sua misericordia e, poiché non avevi altra scelta, hai dovuto dimostrare che il commercio che vi si stava facendo non aveva niente a che fare con lui.

Così hai presentato la grande novità: il nuovo e vero Tempio che sei tu stesso. Sì, perché attraverso di te e solo attraverso te che noi possiamo metterci in relazione con Dio.
Attraverso la tua Parola che libera il volto di Dio da tutte le maschere che gli uomini, per diversi motivi, gli hanno appiccicato sopra.
Attraverso i suoi gesti che rivelano la sua bontà, la sua tenerezza, la sua disponibilità al perdono. Attraverso il tuo corpo, la tua vita offerta per la nostra salvezza. In effetti proprio il tuo corpo, donato fino in fondo, inchiodato a una croce, ma anche risuscitato e colmato di gloria, diventa il nuovo Tempio attraverso il quale Dio raggiunge tutti.
Ed è in te che noi viviamo un culto nuovo che non obbedisce ai parametri e all’immaginazione dell’umanità, ma è secondo il cuore di Dio.
Culto che non si accontenta di esprimersi in un recinto sacro, ma investe tutta l’esistenza facendone un segno vivo di riconoscenza e di obbedienza nella fede.
Culto che non pretende di piegare Dio alle proprie richieste, ma si impegna a realizzare il suo progetto di salvezza.
Culto che, attraverso le parole ed i gesti delle celebrazioni, rinvia alla vita di ogni giorno, alle decisioni che contano, agli atteggiamenti che la qualificano.

(Roberto Laurita)


Pillola di saggezza

L’ottimismo è un fiore che appassisce,
la Speranza cristiana è una roccia nella tempesta

 

 


Orario SS. Messe:

  • Giorni feriali ore 18.30
  • Sabato e vigilia delle feste ore 19
  • Festivo ore 8.30, 10.30, 12 – Ore 17 in Auditorium

Il sabato, dalle ore 10 alle ore 12, Adorazione Eucaristica

In questo orario i preti sono a disposizione per celebrare il
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Festa dei santi – giorno dei morti

 

Beati i poveri in spirito (Mt 5,3)

 

Non è casuale che questi due giorni viaggino costantemente in coppia… Essi ci richiamano a una saggezza che si nutre di atteggiamenti diversi e ci fa considerare la nostra esistenza con gli occhi della fede, con il suo ottimismo e con il suo realismo. Con lo sguardo levato verso quella “casa” dove saremo insieme, nella gioia, accanto a Dio, per l’eternità.

E’ proprio questo il bello della festa dei Santi: ci mette il paio di occhiali giusti per leggere la storia.
Solitamente la consideriamo come luogo di sciagure, di contrasti, di conflitti. E ci lasciamo impressionare dall’albero che cade, senza accorgersi “della foresta che sta crescendo”.
La quotidiana carrellata di dolori, di violenza e di calamità, ci induce a credere che il male sia sempre forte, troppo forte, addirittura invincibile.
Ma non è così. Per questo oggi guardiamo alla storia come a un terreno benedetto in cui fiorisce la santità di tanti uomini e di tante donne, in cui il progetto di Dio si sta realizzando. Un tessuto consistente di onestà, di competenza, di solidarietà, di misericordia senza il quale il nostro mondo, non potrebbe venire.

Di seguito, immediatamente, il Giorno dei Morti. Giorno in cui considerare una realtà che è scritta dentro la nostra vita. Giorno di memoria e di gratitudine verso coloro che ci hanno fatto del bene.
Giorno in cui passare a una considerazione pacata dell’esistenza, illuminata dalla fiducia in Dio, dalla speranza della vita eterna.

Forse non è facile viverli, uno così attaccato all’altro, questi due giorni.
Ma è senz’altro “salutare” per la nostra fede. Perché considerare la vita terrena e il suo sbocco nella vita eterna ci induce a vivere meglio, a lasciar perdere ciò che è futile, a dare importanza a ciò che è determinante.
Perché trovare le parole ed i gesti per dire la nostra riconoscenza a chi ci ha preceduto ci porta, naturalmente, a valutare quel tesoro prezioso che ci hanno lasciato.

(Roberto Laurita)


Pillola di saggezza

Tu comincia col fare ciò che è necessario,
poi quello che è possibile.
All’improvviso ti sorprenderai a fare l’impossibile

 

 


Orario SS. Messe:

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  • Festivo ore 8.30, 10.30, 12 – Ore 17 in Auditorium

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Quale preghiera? Quale rapporto con Dio?

 

Due uomini salirono al tempio a pregare (Lc 18,9-14)

 

I due protagonisti della parabola non sono delle “macchiette”, delle esagerazioni a scopo teatrale. Quello che dicono è del tutto plausibile, così come il modo in cui si comportano. Se Gesù facesse un sondaggio tra il suo uditorio, la vittoria di gradimento da parte del fariseo sarebbe assicurata e lampante.

E invece la sorpresa sta proprio nel fatto che il Signore ribalta completamente il giudizio degli uomini. Dio vede le cose in modo del tutto diverso e la sua reazione alla preghiera dei due personaggi del brano evangelico è contraria a quello che ci si attenderebbe.

L’osservanza del fariseo genera infatti due atteggiamenti che nulla hanno a che fare con un rapporto autentico con Dio.
Da una parte l’orgoglio di chi si crede a posto davanti al suo Creatore ed esibisce i suoi titoli di credito per avere diritto alla benevolenza di chi gli sta davanti. Dall’altra, come naturale appendice, il disprezzo nei confronti del peccatore che viene ridotto a una specie di scranno su cui il devoto sale per innalzare ancor di più se stesso.
Due atteggiamenti che rivelano il “cuore” del fariseo, cioè il luogo segreto e profondo da cui nascono decisioni e intenzioni, scelte e atteggiamenti. Questo “cuore” diventa una barriera insormontabile per una relazione autentica con Dio: la vita rimane ostinatamente chiusa a un amore che bisogna solamente accettare perché è smisurato e quindi al di là di ogni nostro supposto merito.
Cosa può fare Dio ad una persona di questo genere? Essa è talmente chiusa in se stessa che egli non riesce neppure a trovare una breccia per entrare dentro.

Quanto al pubblicano egli non viene lodato per gli errori che ha commesso. I suoi crimini rimangono terribili, l’ingiustizia che commette abitualmente sono un insulto e un sopruso evidenti. Ma egli riconosce tutto questo. Ammette le sue colpe, la sua cattiveria, il male che ha provocato. E si affida a Dio, alla sua bontà, alla sua misericordia.
Nonostante tutto, qui Dio può trovare una porta aperta attraverso la quale entrare. Ed è così che egli può trasformare e trasfigurare anche la persona che tutti considerano irrimediabilmente perduta e lontana da lui.
(Roberto Laurita)

 


Orario SS. Messe:

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Ringraziare, cioè “fare Eucaristia”

 

Pieter de Grebber – Il giudice iniquo

Fammi giustizia contro il mio avversario (Lc 18,3)

 

“Basta che preghino! In un modo o nell’altro, non è questo il problema…” L’abbiamo sentita tante volte questa frase, sulla bocca di ecclesiastici e di laici. E, francamente, ci siamo sentiti un po’ imbarazzati. Eppure il Vangelo di oggi, a modo suo, ci invita a reagire, a non dare per scontato quello che credono i più, o quello che fanno, quando pregano.

Che cos’è la preghiera senza la fede? Solamente un gesto di contrattazione per assicurarci un appoggio da parte di chi è più potente di noi. O addirittura una specie di scambio, gestito attraverso l’offerta o il rito. In certi casi può essere anche un modo per “mettere le mani su Dio”, per fargli fare quello che vogliamo noi, per farlo agire a nostro favore.

Ma questa è la preghiera cristiana? Se parla di fede, Gesù lo fa proprio perché alla base della preghiera c’è la fiducia incondizionata in Dio e nel suo amore, un abbandono a lui, alla sua parola, sicuri di essere in buone mani.

Il discepolo, allora, quando chiede – e lo fa con la confidenza e la costanza di un figlio – prende sempre a modello la preghiera del Padre Nostro. Non comincia rovesciando su Dio i suoi desideri, ma esprimendo la sua disponibilità a realizzare un progetto ch Dio ha su questo mondo. Solo dopo aver fatto questo, ha senso domandare anche ciò che è necessario alla nostra vita.

Non una preghiera, dunque, che si attende tutto da Dio, ma una disponibilità a fare la sua volontà, anche quando costa. Non una preghiera “comandata” solo dal bisogno, dalla necessità, ma una manifestazione d’amore, di lode, di impegno, una sorgente continua di audacia e di fraternità.

In fondo se la preghiera parla un linguaggio, questo è il linguaggio della fiducia e dell’amore.

(Roberto Laurita)


Pillola di saggezza

La fede

Vede l’invisibile,

Crede l’incredibile,

Riceve l’impossibile.

 


Orario SS. Messe:

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  • Sabato e vigilia delle feste ore 19
  • Festivo ore 8.30, 10.30, 12 – Ore 18 in Auditorium

Il sabato, dalle ore 10 alle ore 12, Adorazione Eucaristica

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Ringraziare, cioè “fare Eucaristia”

 

Gesù, maestro, abbi pietà di noi (Lc 17,11-19)

 

Non è casuale che la parola “ringraziamento” sia racchiusa proprio nel termine “eucaristia”, l’incontro settimanale dei cristiani nel Giorno del Signore.
Celebrare l’Eucarestia significa proprio rendere grazie per tutti i doni che abbiamo ricevuto.
Rendere grazie a Dio, il Padre, che ha creato l’universo e lo ha affidato alla nostra responsabilità perché lo costumiamo saggiamente. Non abbiamo costruito noi la casa in cui viviamo!
Rendere grazie a Gesù, il Figlio di Dio fatto uomo, che ha donato la sua vita per noi sulla croce, è morto ed è risorto.
Egli è la nostra speranza: uniti a lui possiamo essere immersi nella morte e conoscere la risurrezione e la vita eterna!
Rendere grazie allo Spirito Santo, che riunisce tutti nell’amore..
E’ lui il soffio segreto che desta i cuori a vivere secondo il progetto di Dio, è lui l’anima profonda di ogni parola e di ogni gesto che realizzano il Vangelo.

Ringraziare non è dunque un “optional” per un cristiano: fa parte di ciò che è essenziale alla vita della fede. Solo chi ringrazia, di fatto, entra in un rapporto autentico con Gesù. Rapporto che non è dettato dal bisogno, dalla necessità di assicurarsi dei favori, ma dal riconoscimento del suo amore. Alla bontà del Signore, il discepolo risponde con la sua riconoscenza e proprio questo lo salva lo mette nella condizione di vivere un’esistenza nuova.

Erano dieci i lebbrosi guariti dalla lebbra di cui ci parla il Vangelo di questa domenica. Solo uno, però, il samaritano, è stato “salvato” grazie alla sua fede…
Sono tanti i battezzati, coloro che ricevono i doni di Dio, la sua offerta di grazia. Ma solo coloro che rispondono sono “salvati” Nessun rapporto magico, ma l’incontro libero tra il Cristo che si fa incontro a noi e la nostra risposta fatta di gesti e di parole, tessuta nella vita di tutti i giorni.
Nessun rapporto istantaneo, ma la costruzione di un rapporto che si inserisce nel tempo e scandisce la vita attraverso momenti specifici di celebrazione.

Basta andare a messa per essere cristiani? No, certo. Ma non si può essere cristiani senza andare a Messa. Non si può fare della vita un’eucaristia, un rendimento di grazie, se non si partecipa all’eucaristia della domenica!


Pillola di saggezza

La speranza è il ponte che collega il nostro presente incerto
alla promessa di Gesù, di un futuro glorioso.

(Charles Pèguy)

 


Orario SS. Messe:

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Senza medaglie

 

Siamo ormai abituati ai riconoscimenti. A quelli che coincidono con qualche scatto o promozione. A quelli che sanciscono dei meriti evidenti… Attestati di benemerenza, medaglie, diplomi: un modo di esprimere la riconoscenza della collettività o per dare la misura di quanto conti una persona.

Un’usanza che persiste nel tempo e che, tuttavia, non dovrebbe mettere radice nella comunità dei seguaci di Gesù. Sì, perché Gesù chiede ai suoi di lavorare per il Regno di Dio con fiducia e semplicità, senza attendersi riconoscimenti.

Fiduciosi, perché senza fiducia prima o poi si getta la spugna. E la fiducia è riposta non nelle proprie risorse, nei progetti luminosi che abbiamo steso sulla carta con meticolosità. Il discepolo si fida di lui, Gesù. Si affida al Padre suo, come lui. Conta sull’azione dello Spirito Santo a rischiare per le strade del vangelo, anche se, a volte, sembrano così ingenue e fallimentari.

Disposto a giocare la propria vita anche in apparenti fallimenti – proprio come Gesù – e non a racimolare pronti successi. Felice di essere sorpreso dai risultati insperati che coronano fatiche nascoste.
Lo spirito del discepolo è quello del servo, che mette le sue energie a servizio di un piano più grande e più vasto dei suoi piccoli, limitati, piani. Conscio di dover “morire” continuamente a se stesso, e innanzitutto alla propria vana gloria.

Appagato di aver fatto la sua parte, anche se nessuno ne tesserà pubblicamente le lodi. Questa fiducia e questa operosità non mancano, però, di produrre, grazie allo Spirito Santo, autentici miracoli.
Ne sono testimoni stupiti, tanti cristiani che toccano con mano la bontà di uomini e donne che riesce a guarire ferite profonde e ridà forza a spalle troppo esauste.
Ne sono protagonisti giovani e adulti che si accorgono, a cose fatte, di essere stati guidati da Dio per sentieri faticosi per giungere a una meta imprevista.

Il cristiano ama le strade e gli snodi della vita quotidiana per vivere insieme agli altri l’avventura della fede: un’avventura che cambia l’esistenza.

E dona, fin da quaggiù, una serenità e una pace immeritate.


Pillola di saggezza

Per capire chi è Cristo,
è necessario fissare il nostro sguardo
sui nostri fratelli innamorati di lui.

(Don Oreste Benzi)

 


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Non l’aveva visto!

 

In fondo, a pensarci bene, di che cosa viene accusato l’uomo ricco del brano evangelico? Aveva forse fatto bastonare Lazzaro dai suoi servi perché la sua presenza lo irritava? L’aveva preso in giro per il suo stato miserevole? L’aveva sbeffeggiato per i suoi cenci e le sue piaghe?

No, niente di tutto questo. L’aveva lasciato lì, alla sua porta. Gli aveva permesso di stazionare, in pianta stabile. Anche se il suo aspetto non era gradevole. Anche se il suo odore si percepiva a distanza. Anche se i cani, che andavano a leccargli le ferite, facevano un po’ di confusione. Era stato proprio tollerante. Ed ora perché doveva patire in mezzo ai tormenti? Lui, il ricco, non si era neppure accorto di Lazzaro.

Semplicemente non l’aveva visto. Aveva ben altro da fare. Non l’aveva visto e non aveva mosso un dito per lui. Non un soldo. Non un tozzo di pane. Neppure un po’ di avanzi. Ecco cosa significa “Peccato di omissione”. Ecco cosa ci tiene irrimediabilmente lontani da Dio e dalle persone. Una malattia che si attacca al nostro cuore e da lì raggiunge gli occhi e le orecchie. Il cuore si indurisce, non prova più compassione. Si rinchiude nelle ricerca esclusiva dei propri interessi. Una prigione costruita con le proprie mani che può durare per sempre. La vista si annebbia: gli occhi non riescono più a scorgere il prossimo e a ravvisare i tratti di un fratello. Le orecchie si tappano e non recepiscono nessuna invocazione, nessuno grido di aiuto.

Malattia terribile che si insinua tenacemente, ma senza provocare grosse reazioni. Uno stato perpetuo di ripiegamento su se stessi. Gli altri restano lontani dal cuore, anche se sono vicinissimi, addirittura alla nostra porta. E con loro anche Dio.

E la vita procede come se non stesse accadendo nulla di grave, come se ogni cosa andasse per il verso giusto. Fino al momento in cui avviene un capovolgimento, tragico quanto inaspettato. Prenderemo anche noi ad esempio il ricco della parabola? Faremo finta di non vedere?

Gesù ci annuncia della conseguenze estremamente spiacevoli per il nostro futuro eterno.


Pillola di saggezza

La gioia non è l’assenza di problemi,
ma sentire la presenza di Dio

(Henri Nouwen, Teologo)

 


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Non potete servire Dio e la ricchezza

 

La parabola contenuta nel Vangelo di questa domenica (cfr Lc 16,1-13) ha come protagonista un amministratore furbo e disonesto che, accusato di aver dilapidato i beni del padrone, sta per essere licenziato. In questa situazione difficile, egli non recrimina, non cerca giustificazioni né si lascia scoraggiare, ma escogita una via d’uscita per assicurarsi un futuro tranquillo. Reagisce dapprima con lucidità, riconoscendo i propri limiti: «Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno» (v. 3); poi agisce con astuzia, derubando per l’ultima volta il suo padrone. Infatti, chiama i debitori e riduce i debiti che hanno nei confronti del padrone, per farseli amici ed essere poi da loro ricompensato. Questo è farsi amici con la corruzione e ottenere gratitudine con la corruzione, come purtroppo è consuetudine oggi.

Gesù presenta questo esempio non certo per esortare alla disonestà, ma alla scaltrezza. Infatti sottolinea: «Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza» (v. 8), cioè con quel misto di intelligenza e furbizia, che ti permette di superare situazioni difficili. La chiave di lettura di questo racconto sta nell’invito di Gesù alla fine della parabola: «Fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne» (v. 9). Sembra un po’ confuso, questo, ma non lo è: la “ricchezza disonesta” è il denaro – detto anche “sterco del diavolo” – e in generale i beni materiali.

La ricchezza può spingere a erigere muri, creare divisioni e discriminazioni. Gesù, al contrario, invita i suoi discepoli ad invertire la rotta: “Fatevi degli amici con la ricchezza”. È un invito a saper trasformare beni e ricchezze in relazioni, perché le persone valgono più delle cose e contano più delle ricchezze possedute. Nella vita, infatti, porta frutto non chi ha tante ricchezze, ma chi crea e mantiene vivi tanti legami, tante relazioni, tante amicizie attraverso le diverse “ricchezze”, cioè i diversi doni di cui Dio l’ha dotato. Ma Gesù indica anche la finalità ultima della sua esortazione: “Fatevi degli amici con la ricchezza, perché essi vi accolgano nelle dimore eterne”. Ad accoglierci in Paradiso, se saremo capaci di trasformare le ricchezze in strumenti di fraternità e di solidarietà, non ci sarà soltanto Dio, ma anche coloro con i quali abbiamo condiviso, amministrandolo bene, quanto il Signore ha messo nelle nostre mani.

Fratelli e sorelle, questa pagina evangelica fa risuonare in noi l’interrogativo dell’amministratore disonesto, cacciato dal padrone: «Che cosa farò, ora?» (v. 3). Di fronte alle nostre mancanze, ai nostri fallimenti, Gesù ci assicura che siamo sempre in tempo per sanare con il bene il male compiuto. Chi ha causato lacrime, renda felice qualcuno; chi ha sottratto indebitamente, doni a chi è nel bisogno. Facendo così, saremo lodati dal Signore “perché abbiamo agito con scaltrezza”, cioè con la saggezza di chi si riconosce figlio di Dio e mette in gioco sé stesso per il Regno dei cieli.

La Vergine Santa ci aiuti ad essere scaltri nell’assicurarci non il successo mondano, ma la vita eterna, affinché al momento del giudizio finale le persone bisognose che abbiamo aiutato possano testimoniare che in loro abbiamo visto e servito il Signore.

Papa Francesco, Angelus del 22 settembre 2019

 


Orario SS. Messe:

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  • Sabato e vigilia delle feste ore 19
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Esaltazione della Santa Croce 2025

 

Volto Santo restaurato

 

La croce è un patibolo di morte, eppure in questo giorno di festa celebriamo l’esaltazione della Croce di Cristo. Perché su quel legno Gesù ha preso su di sé il nostro peccato e il male del mondo, e li ha sconfitti con il suo amore. Per questo oggi festeggiamo. La Parola di Dio che abbiamo ascoltato ce lo racconta, contrapponendo, da una parte, i serpenti che mordono e, dall’altra, il serpente che salva. Fermiamoci su queste due immagini.

Anzitutto i serpenti che mordono. Essi attaccano il popolo, caduto per l’ennesima volta nel peccato della mormorazione. Mormorare contro Dio significa non soltanto parlare male e lamentarsi di Lui; vuol dire, più in profondità, che nel cuore degli Israeliti è venuta meno la fiducia in Lui, nella sua promessa. Il popolo di Dio, infatti, sta camminando nel deserto verso la terra promessa ed è sopraffatto dalla stanchezza, non sopporta il viaggio (cfr Nm 21,4). Allora si scoraggia, perde la speranza, e a un certo punto è come se dimenticasse la promessa del Signore: quella gente non ha più la forza di credere che è Lui a guidare il suo cammino verso una terra ricca e feconda.
Non è un caso che, esaurendosi la fiducia in Dio, il popolo venga morso da serpenti che uccidono. Essi ricordano il primo serpente di cui parla la Bibbia nel libro della Genesi, il tentatore che avvelena il cuore dell’uomo per farlo dubitare di Dio. Infatti il diavolo, proprio sotto forma di serpente, ammalia Adamo ed Eva, ingenera in loro sfiducia convincendoli che Dio non è buono, anzi è invidioso della loro libertà e felicità. E ora, nel deserto, ritornano i serpenti, dei «serpenti brucianti» (v. 6); ritorna, cioè, il peccato delle origini: gli Israeliti dubitano di Dio, non si fidano di Lui, mormorano, si ribellano a Colui che ha dato loro la vita e vanno così incontro alla morte. Ecco dove porta la sfiducia del cuore!
Cari fratelli e sorelle, questa prima parte del racconto ci chiede di guardare da vicino i momenti della nostra storia personale e comunitaria in cui è venuta meno la fiducia, nel Signore e tra di noi. Quante volte, sfiduciati e insofferenti, ci siamo inariditi nei nostri deserti, perdendo di vista la meta del cammino! Anche in questo grande Paese c’è il deserto che, mentre offre uno splendido paesaggio, ci parla di quella fatica, di quella aridità che a volte portiamo nel cuore. Sono i momenti di stanchezza e di prova, nei quali non abbiamo più le forze per guardare in alto, verso Dio; sono le situazioni di vita personale, ecclesiale e sociale in cui siamo morsi dal serpente della sfiducia, che inietta in noi i veleni della disillusione e dello sconforto, del pessimismo e della rassegnazione, chiudendoci nel nostro io, spegnendo l’entusiasmo.
Ma nella storia di questa terra non sono mancati altri morsi dolorosi: penso ai serpenti brucianti della violenza, della persecuzione ateista, a un cammino a volte travagliato durante il quale è stata minacciata la libertà del popolo e ferita la sua dignità. Ci fa bene custodire il ricordo di quanto sofferto: non bisogna ritagliare dalla memoria certe oscurità, altrimenti si può credere che siano acqua passata e che il cammino del bene sia delineato per sempre. No, la pace non è mai guadagnata una volta per tutte, va conquistata ogni giorno, così come la convivenza tra etnie e tradizioni religiose diverse, lo sviluppo integrale, la giustizia sociale. E perché il Kazakhstan cresca ancora di più «nella fraternità, nel dialogo e nella comprensione […] per gettare ponti di solidale cooperazione con gli altri popoli, nazioni e culture» (S. Giovanni Paolo II, Discorso durante la cerimonia di benvenuto, 22 settembre 2001), c’è bisogno dell’impegno di tutti. Prima ancora, c’è bisogno di un rinnovato atto di fede verso il Signore: di guardare in alto, di guardare a Lui, di imparare dal suo amore universale e crocifisso.

Veniamo così alla seconda immagine: il serpente che salva. Mentre il popolo muore a causa dei serpenti brucianti, Dio ascolta la preghiera di intercessione di Mosè e gli dice: «Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque sarà stato morso e lo guarderà, resterà in vita» (Nm 21,8). Infatti, «quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di bronzo, restava in vita» (v. 9). Potremmo tuttavia chiederci: perché Dio, anziché dare queste laboriose istruzioni a Mosè, non ha semplicemente distrutto i serpenti velenosi? Questo modo di fare ci rivela il suo agire dinanzi al male, al peccato e alla sfiducia dell’umanità. Allora come ora, nella grande battaglia spirituale che abita la storia fino alla fine, Dio non annienta le bassezze che l’uomo liberamente insegue: i serpenti velenosi non scompaiono, ci sono ancora, stanno in agguato, possono sempre mordere. Che cosa è cambiato allora, che cosa fa Dio?
Gesù lo spiega nel Vangelo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna» (Gv 3,14-15). Ecco la svolta: è arrivato tra noi il serpente che salva: Gesù che, elevato sull’asta della croce, non permette ai serpenti velenosi che ci assalgono di condurci alla morte. Di fronte alle nostre bassezze, Dio ci dona un’altezza nuova: se teniamo lo sguardo rivolto a Gesù, i morsi del male non possono più dominarci, perché Lui, sulla croce, ha preso su di sé il veleno del peccato e della morte e ne ha sconfitto la potenza distruttiva. Ecco che cosa ha fatto il Padre dinanzi al dilagare del male nel mondo; ci ha dato Gesù, che si è fatto vicino a noi come non avremmo mai potuto immaginare: «Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore» (2 Cor 5,21). Questa è l’infinita grandezza della divina misericordia: Gesù che si è “fatto peccato” a nostro favore, Gesù che sulla croce – potremmo dire – “si è fatto serpente” affinché, guardando a Lui, possiamo resistere ai morsi velenosi dei serpenti maligni che ci assalgono.
Fratelli e sorelle, questa è la strada, la strada della nostra salvezza, della nostra rinascita e risurrezione: guardare a Gesù crocifisso. Da quell’altezza possiamo vedere la nostra vita e la storia dei nostri popoli in modo nuovo. Perché dalla Croce di Cristo impariamo l’amore, non l’odio; impariamo la compassione, non l’indifferenza; impariamo il perdono, non la vendetta. Le braccia allargate di Gesù sono l’abbraccio di tenerezza con cui Dio vuole accoglierci. E ci mostrano la fraternità che siamo chiamati a vivere tra di noi e con tutti. Ci indicano la via, la via cristiana: non quella dell’imposizione e della costrizione, della potenza e della rilevanza, mai quella che impugna la croce di Cristo contro altri fratelli e sorelle per i quali Egli ha dato la vita! È un’altra la via di Gesù, la via della salvezza: è la via dell’amore umile, gratuito e universale, senza “se” e senza “ma”.
Sì, perché sul legno della croce Cristo ha tolto il veleno al serpente del male, ed essere cristiani significa vivere senza veleni: non morderci tra di noi, non mormorare, non accusare, non chiacchierare, non spargere opere di male, non inquinare il mondo con il peccato e con la sfiducia che viene dal Maligno. Fratelli, sorelle, siamo rinati dal costato aperto di Gesù sulla croce: non ci sia in noi alcun veleno di morte (cfr Sap 1,14). Preghiamo, invece, perché per grazia di Dio possiamo diventare sempre più cristiani: testimoni gioiosi di vita nuova, di amore, di pace.

Papa Francesco, Omelia del 14 settembre 2022, viaggio apostolico in Kazakhstan

 


Orario SS. Messe:

  • Giorni feriali ore 18.30
  • Sabato e vigilia delle feste ore 19
  • Festivo ore 8.30, 10.30, 12 – Ore 18 in Auditorium

Il sabato, dalle ore 10 alle ore 12, Adorazione Eucaristica

In questo orario i preti sono a disposizione per celebrare il
Sacramento della Riconciliazione.
Per celebrare il sacramento della Confessione è possibile anche contattare i preti:
Don Paolo 347 3002895 – Don Francesco  347 8804368