Lettera per il cammino pasquale del nostro Vescovo Paolo

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Caro fratello, cara sorella,
ancora una volta abbiamo dinanzi giorni straordinari: i quaranta della Quaresima e i cinquanta del Tempo pasquale, con la Grande Settimana al centro; un cammino di oltre tre mesi (95 giorni, per la precisione), che inizia con le spente Ceneri e finisce col fuoco della Pentecoste. È un dono che il Signore ci fa ogni anno, affinché riprendiamo energia per il cammino personale e comunitario: l’azione purificatrice e creatrice dello Spirito, infatti, può far sorgere persino dalle ceneri un fuoco divampante, capace di diffondere ovunque il suo calore. Se sarete quello che dovete essere metterete fuoco in tutto il mondo!
(S. Caterina da Siena)

ABBIAMO PROPRIO LE PILE SCARICHE

Questa volta, peraltro, arriviamo all’appuntamento pasquale con il carico di una particolare stanchezza e di un certo scoraggiamento, oltre al peso dei problemi quotidiani e delle “ordinarie” sofferenze.
Sono passati ormai due anni da quando la vita delle persone, delle famiglie, delle imprese, delle scuole e delle comunità è stata colpita dalle restrizioni necessarie a contenere il contagio della pandemia. Questa situazione ha portato conseguenze inimmaginabili, alcune delle quali avranno purtroppo effetti di lunga durata. Le più rilevanti sono senza dubbio quelle spirituali: le ferite interiori, sebbene invisibili, risultano determinanti per tutto l’agire umano, poiché influenzano le relazioni di ogni tipo e le decisioni personali e collettive. Questo tempo di pandemia ha accresciuto in tutto il mondo il senso di smarrimento. Dopo una prima fase di reazione, in cui ci siamo sentiti solidali sulla stessa barca, si è diffusa la tentazione del “si salvi chi può.” (Francesco, Omelia, 31 dicembre 2021)
La crisi di fiducia nel futuro, negli altri, nelle istituzioni, in sé stessi – ha determinato la perdita di tanti punti di riferimento e rappresenta una seria ipoteca su ogni dimensione dell’attesa “ripartenza”.
L’accentuazione della deriva individualistica, che già caratterizza fortemente la cultura contemporanea, ha generato fenomeni di egoismo, di chiusura e di spregio del bene comune. La coesione sociale, messa a dura prova dalle disfunzioni che la pandemia ha messo in evidenza a tanti livelli del sistema-Paese, ne ha pesantemente risentito: ci siamo divisi, sospettati, accusati, condannati… sin dentro le famiglie e le comunità. Anche l’apparato mediatico, a tutti i livelli, si è mostrato vulnerabile alle manifestazioni di irresponsabilità, superficialità e intolleranza. Non sono mancati esempi eroici di abnegazione, come pure manifestazioni di resilienza e buon funzionamento della struttura sociale, ma sembra che questo non sia bastato per contrastare stanchezza e scoraggiamento.
Anche nelle comunità parrocchiali, tra preti, diaconi e operatori pastorali, nelle associazioni e nelle diverse articolazioni del corpo ecclesiale, serpeggiano scoramento e affaticamento. Non è stato facile vivere per due anni “a distanza”, né portare avanti la vita della Chiesa avendo poche certezze, tante limitazioni e più d’una paura. La scarsità di presenze a Messa, nonostante le scrupolose precauzioni adottate sin dall’inizio, ne è segno evidente.
Si sono avute manifestazioni concrete di segno opposto: come non ringraziare i volontari domenicali dalle bianche casacche, gli operatori della carità, i catechisti e gli animatori d’oratorio, i ministri straordinari della comunione eucaristica? Loro e tanti altri sono stati coraggiosi e fedeli, nonostante tutto.
Però, dopo due anni di faticoso cammino, sono davvero in molti che si accorgono e dicono di avere le pile scariche, di tirare avanti con fatica anche le attività ordinarie. Tale sensazione si acuisce di fronte all’ulteriore “fabbisogno energetico” richiesto dai nuovi consigli pastorali, dal nuovo regolamento di curia, dal cammino sinodale… Invece di accogliere le opportunità, si avverte solo il peso di complicate cose da fare, riunioni da convocare, persone da coinvolgere… Il procedere è strascicato, il fuoco è quasi spento.

COME È SUCCESSO CHE ABBIAMO PERDUTO ENERGIA?

Non si tratta di andare a cercare carenze vitaminiche, ma di constatare onestamente che le “nostre” forze non sono risultate sufficienti. Per quanta riserva ne avessimo, alla fine si sono esaurite: l’entusiasmo si è spento, la perseveranza si è logorata, la fraternità si è sfilacciata, la creatività si è impoverita, la responsabilità ha latitato. La prova della pandemia, soprattutto per la sua durata, ha messo a nudo la fragilità della nostra umanità e il fatto che evidentemente l’edificio ecclesiale, a tutti i livelli, non può poggiare su di essa.
Non è certo una novità, ma un conto è dirlo, un conto è farne sconcertante esperienza. Penso alle coppie di sposi che sono andate in crisi, per il peso di situazioni relazionali, economiche e sociali: pareva che il sentimento reciproco o l’affetto per i figli fossero sufficienti e invece non hanno retto. Penso ai ragazzi e alle ragazze, agli adolescenti e ai giovani che hanno lasciato la scuola, il lavoro, la fidanzata o il fidanzato… o si sono chiusi in camera: la sconfinata voglia di vivere e l’esuberanza si sono drammaticamente esaurite. Penso alle parrocchie che hanno visto ridursi sempre più in qualità e quantità le proprie iniziative e la stessa vita comunitaria: sembrava di avere persone e prassi adeguate a fronteggiare l’emergenza e invece ci si è ritrovati a marciare proprio al minimo.
Penso anche al livello della Chiesa diocesana, dove una quantità di iniziative sono state programmate, spostate, ridimensionate, annullate… fin quasi a togliere la voglia di fare. La “nostra” energia, evidentemente, era limitata, e aver contato solo su di essa non è stato molto saggio: si è esaurita proprio quando ne avevamo maggior bisogno. Senza di me – ci ammonisce Gesù – non potete far nulla (Gv15, 5).
Paolo Giulietti – Arcivescovo di Lucca (Fine 1° parte)

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