In evidenza – 12 Marzo 2023

LETTERA DEL NOSTRO VESCOVO PER IL CAMMINO PASQUALE

(Seconda parte)

UN ATEISMO STRISCIANTE

Ci sono alcune espressioni, che si richiamano e completano a vicenda e che spesso capita di ascoltare (forse anche di dire), senza rendersi conto del loro effetto spiritualmente depressivo.

“Non c’è niente da fare”. I problemi sono tali e tanti che superano le possibilità di ciascuno; ciò che si riesce a fare appare come una piccola goccia nel mare. È evidente che non ha rilevanza, per cui non fa nessuna differenza il cercare o il non cercare di comprendere; il darsi o non darsi da fare; il provare o il non provare a fronteggiare le difficoltà. Questa obiezione è espressa quasi sempre in relazione alle grandi questioni del nostro tempo: la custodia del creato, la giustizia sociale, la pace… Essa, però, viene anche riferita all’ambito della vita personale o relazionale, dove certe situazioni di tensione, di limite o di sfida vengono ritenute superiori alle proprie forze.

“Non è possibile cambiare. Si è fatto sempre così”. Ci sono modi di fare e di pensare che si trascinano nel tempo, riproponendo situazioni di peccato, di ingiustizia, di divisione… o semplicemente trasformando la vita cristiana dei singoli e delle comunità in una sterile ripetizione di riti e di tradizioni di cui non si coglie quasi più il senso originario, ma che si continuano a celebrare stancamente, più per paura del nuovo che per intima convinzione.

“L’importante è godersi la vita”. Stanti così le cose, non vale davvero la pena sprecare energie e tempo per cercare di comprendere e attuare il Vangelo: è molto meglio cercare di prendere dalla vita – qui e adesso – tutto ciò che essa può dare in termini di soddisfazioni personali, condividendole al più con una ristretta cerchia di amici e parenti. Ciò non riguarda, evidentemente, solo l’ambito del divertimento, ma investe anche la sfera ecclesiale, dove la rinuncia a intraprendere nuovi percorsi di crescita umana e cristiana è il sintomo più eclatante della crisi di fede.

“Che vuoi che sia!” oppure “Che male c’è?”: espressione popolare di quel relativismo etico, “che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie” (J. Ratzinger, Omelia, 18 apr 2005), con poco o nullo spazio alla responsabilità, alla solidarietà e – in fin dei conti – alla fede.

Dove circolano queste frasi? Certamente nei contesti informali e amicali delle conversazioni da bar o nei social; c’è però una precisa linea culturale che, sotto le bandiere della libertà individuale, del primato dell’amore e del bisogno di divertimento, propaganda una visione profondamente egoista e seriamente disperata dell’esistenza: “mangiamo e beviamo, perché domani moriremo” (1Cor 15,32).

Si tratta di un ateismo pratico, che può anche convivere con la pratica di preghiere e devozioni, di fatto privo di ogni riferimento alla fede. Lavoro, studio, affetti, tempo libero, cittadinanza, fragilità… tutto ciò che ci appartiene come persone viene vissuto – di fatto – come se Dio non ci fosse.

PAROLE DI VITA?

Nel contesto “liquido” in cui ci troviamo, molti offrono “parole di vita”: proposte di felicità e di realizzazione di sé che si pongono – più o meno esplicitamente – come alternative alla visione che scaturisce dalla fede. Chi cerca di ispirare al Vangelo la propria esistenza viene invece tacciato di bigottismo, di arretratezza o di ingenuo idealismo, quando non viene additato come nemico del progresso o della vera civiltà. Al massimo si è disposti ad apprezzare le azioni in favore dei poveri, ma solo fino a un certo punto: se ad essere aiutato, infatti, è il carcerato, l’immigrato clandestino, il rom… o chiunque venga giudicato non meritevole di sostegno, allora si viene tacciati di buonismo o di ipocrisia.

Se poi si parla dell’appartenenza alla Chiesa, allora bisogna fare i conti con tutto quello che si pensa, si dice e si scrive attorno al Vaticano, alla pedofilia, alla ricchezza dei preti, all’omofobia e alla misoginia delle gerarchie, all’ipocrisia dei fedeli…

L’atteggiamento verso Papa Francesco sembra rappresentare un’eccezione, ma vale fino a quando egli non vada a ribadire il magistero sulla pace, l’accoglienza, la famiglia, la vita… In quel caso le simpatie mediatiche e popolari (non di rado fondate su un’errata e semplicistica percezione del suo insegnamento) lasciano il posto alle opinioni di cui sopra.

È un vero e proprio bombardamento culturale, che rafforza la titubanza dei dubbiosi, ma che mette in difficoltà anche i più convinti: la fede in Gesù, così fuori moda, così difficile da praticare e sostenere, sarà davvero una risorsa per una vita felice? La figura di persona, di famiglia, di comunità… che il Vangelo propone sarà sul serio capace di condurre a pienezza queste dimensioni dell’esistenza?

(fine 2ª parte – Continua)

Leggi il messaggio completo  del nostro Vescovo

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